L’universo dello spettacolo e delle sue stelle è sempre stato affascinante. È un mondo dorato che sa di fiabesco dove tutto sembra leggero ed effimero ma che in realtà nasconde anni di studio e di dedizione per tutte le sue figure professionali, dagli artisti sul palcoscenico fino ai tecnici dietro le quinte. Eppure esiste anche una sorta di deus ex machina, una figura eclettica che deve possedere precise doti organizzative e artistiche, a cui è affidato il delicatissimo compito di orchestrare la meravigliosa macchina spettacolare. Ad incarnare questa figura è Antonio Desiderio, affermato manager di opera lirica e danza e grande esempio di fusione tra arte cultura e management.
Antonio, come ti sei avvicinato alla carriera da manager e come mai hai scelto proprio la danza come campo d’attività principale accanto alla lirica?
“Sono sempre stato immerso nel mondo del teatro in quanto mio padre era un ex dipendente del Teatro dell’Opera di Roma. Ho iniziato a partecipare a spettacoli di opera e balletto fin da bambino. Con il passare del tempo ciò ha nutrito in me una grande passione per cultura e lo spettacolo. Mostrai subito anche un forte interesse per la musica che mi ha portato a studiare uno strumento, il pianoforte, e a diplomarmi al conservatorio. L’incontro con il ballerino Sergio Marocchi è stato determinante per la mia iniziazione alla danza. Pur non avendo mai danzato iniziai a frequentare la sua scuola da semplice spettatore. Lui mi ha insegnato tutto: i titoli del repertorio ballettistico, la struttura di una lezione di danza, le differenze dei vari stili. Così ho deciso di indirizzare i miei studi pianistici all’accompagnamento delle classi di danza prendendo delle lezioni specifiche da grandi maestri come Vinicio Colella e Marianna Starc per dare un risvolto pratico al mio coinvolgimento verso l’arte coreutica. Questo percorso si è svolto parallelamente ai miei studi universitari di giurisprudenza. Subito dopo la laurea ho conosciuto un cantante lirico che cercava una persona che lo seguisse nella sua attività e che fosse allo stesso tempo una figura poliedrica e dotato oltre che di sensibilità musicale e conoscenze artistiche anche di nozioni legali di tipo pratico. Da lì ho iniziato a girare quasi tutti i teatri del mondo. A ciò si è affiancato un progetto con l’etoile Giuseppe Picone che è stata la prima di tante altre collaborazioni con importanti nomi della lirica e della danza internazionale".
In cosa consiste l’attività di manager dello spettacolo?
"Le mansioni svolte da un manager dello spettacolo sono molte e varie. Si comincia spesso dalla creazione di una progetto pensato proprio per l’artista che si segue in un determinato momento oppure si affianca un giovane talento per lanciarlo cercando di farlo affermare nel mondo musicale e coreutico. La figura manageriale e quella artistica sono legate da un contratto con mandato di rappresentanza che autorizza il rappresentante ad agire in nome e per conto del rappresentato. Per mezzo del mandato divento l’unica persona autorizzata al trattamento dei dati sensibili dell’artista, alla diffusione della sua immagine e ai suoi riferimenti fiscali ed economici. Non mi piace essere un manager autoritario, non impongo mai nessuna scelta all’artista ma prima di prendere qualsiasi decisione preferisco discuterne insieme. Dopotutto è l’artista colui che va in scena e si rimette al giudizio, il più importante, del pubblico. Pertanto la mia politica professionale prevede sempre il suo consenso".
Hai lavorato con grandi artisti del calibro di Giuseppe Picone. Quali sono state le collaborazioni per te più significative?
"A Giuseppe Picone sono molto legato sia professionalmente che personalmente. Oggi lui è un preparatissimo direttore del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli che sta svolgendo il suo compito in maniera egregia ricevendo tanti consensi dal pubblico e dalla critica internazionale. Un’altra presenza speciale nell’ambito della mia carriera è stato il Professor Aldo Masella, storico, critico di danza e regista teatrale. Quest’uomo di immensa cultura mi ha riempito di orgoglio quando mi ha chiesto di scrivere la prefazione del suo libro “Le parole della danza” all’interno del quale ha inserito anche un capitolo dedicato alla mia figura. A Maria Grazia Garofoli, ex direttore del corpo di ballo dell’Arena di Verona, devo invece il mio lancio professionale. È stata la prima a darmi fiducia all’interno di un teatro che era interamene contro di me. Ero ancora molto giovane ma cominciai a lavorare per lei come casting manager e nel 2008 organizzai un gala al Teatro Filarmonico di Verona dove portai varie stelle della danza ma anche tanti nomi nuovi che poi si sono affermati sul panorama coreutico. La ringrazio profondamente perché grazie lei ho maturato quella preziosa esperienza che mi ha permesso di proseguire la mia carriera a un certo livello".
Lavori tanto all’estero in Europa ma anche oltreoceano. Sei appena rientrato dall’International Festival Ballet di Miami. Come è stata questa esperienza?
"Miami è stata un’esperienza incredibile. Il Festival si svolge in Florida ma è la più grossa realtà di organizzazione di gala di balletto in tutta l’America. Avevo voglia di far conoscere oltreoceano la mia professionalità ma anche i nostri talentuosi ballerini. Anni fa mandai una mail alla direzione del festival in cui mi presentavo e proponevo la mia collaborazione. Mi risposero subito con un “Grazie le faremo sapere”. Pensavo che non mi avrebbero più richiamato e, invece, quattro mesi dopo chiesero il mio supporto per la presentazione e la partecipazione di alcune coppie di ballerini per il festival. Da allora la collaborazione si è rinnovata con gli anni e di questo ci tengo a ringraziare Pedro Pablo Peña, direttore artistico del festival. Quest’anno ho lanciato due giovanissimi danzatori siciliani Rinaldo Venuti (Balletto Nazionale di Varsavia) e Vincenzo Di Primo (Balletto di Dublino) che hanno riscosso un enorme successo".
Ti hanno spesso appellato come il nuovo “Diaghilev italiano”. Ti ci rivedi?
"Diaghilev è stato lo storico impresario teatrale russo e il fondatore della celebre compagnia dei Ballets Russes. Stiamo parlando, quindi, di una figura enciclopedica della danza. Egli si occupava maniera totale del lavoro dei suoi ballerini. Ne curava la tecnica del balletto, l’interpretazione dei ruoli del repertorio e poi anche gli aspetti manageriali. Quando sento questa cosa ne sono sicuramente onorato ma sento anche una grossa responsabilità. Cerco di rendere l’attribuzione di un tale appellativo funzionale alla valorizzazione dei talenti italiani nel mondo. In questo momento ne abbiamo davvero bisogno. Ci sono dei grandissimi talenti ovunque ma l’italiano ha sempre un plusvalore che non riesco a spiegare nello specifico ma che lo rende speciale rispetto a tutti gli altri. La situazione delle fondazioni lirico-sinfoniche e degli ormai pochissimi corpi di ballo italiani è sicuramente molto difficile ma fa molto pensare il fatto che non conosco una compagnia di danza estera che non abbia almeno due danzatori italiani nel suo organico. Questo conferma l’importanza e l’eccellenza della scuola italiana e dei suoi principi. In Diaghilev, forse, mi ci rivedrò maggiormente quando magari un giorno riuscirò anch’io a creare una compagnia come i suoi Ballets Russes ma ora sto davvero viaggiando con la fantasia. Adesso sono contento così e sono fiero di ciò che sono riuscito a realizzare fino a questo momento".
Cosa consiglieresti a un giovane che voglia intraprendere questa strada e portare avanti questa missione?
"Per fare questo lavoro non bisogna essere un semplice fan. Ho sempre diffidato da questa categoria di appassionati che si improvvisano managers senza avere alle spalle una lunga formazione mirata. Bisogna avere un’ottima padronanza delle lingue, una spiccata sensibilità artistica e un’estrema dedizione. È un lavoro che ti porta a viaggiare tanto e a stare anche lontano dagli affetti, dalla famiglia. Bisogna avere passione e pazienza perché è una professione i cui risultati arrivano lentamente. Infine è necessario avere una notevole apertura mentale verso culture diverse, essere curiosi, non smettere mai di aver voglia di scoprire cose nuove su questo mestiere. E forse la sua magia sta proprio in questo".
Roberta Leo 18/10/2017