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Il racconto del dramma umano nei “Monologhi dell’atomica” di Elena Arvigo

Non nuova ad argomenti di carattere sociale, Elena Arvigo ci accompagna, con il suo “Monologhi dell’atomica”, in un viaggio toccante e significativo attraverso due dei momenti più tragici del mondo contemporaneo: il disastro di Černobyl'del 1986 e le bombe atomiche del ’45 su Hiroshima e Nagasaki.
Le testimonianze sulla città ucraina, raccolte nel romanzo “Preghiera per Černobyl'” dalla giornalista e scrittrice Svetlana Aleksievich, Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, sono riportate insieme ai ricordi di Kyoko Hayashi, sopravvissuta alla bomba atomica di Nagasaki, in un’ora di intenso e umano raccoglimento attorno al ricordo del passato.
La narrazione non è quella dei due singoli eventi storici, ma dei tragici fatti umani che hanno cambiato il mondo per sempre. Le testimonianze raccolte non parlano, infatti, di comunicazioni ufficiali, ancora oggi carenti e fallaci, ma riportano sentimenti, impressioni e ricordi personali e privati che hanno la forza di risultare universalmente validi. Un racconto di voci che parla di amore, di vita, di morte, di spaesamento e mostra quanto la catastrofe del nucleare sia tragedia universale dell’essere umano che vede tutti coinvolti, a prescindere dalla propria nazionalità o generazione.
Con un’interpretazione intensa e mai forzata Elena Arvigo riesce a dare un’immagine così vera ai ricordi narrati da trasportare lo spettatore dentro le sue stesse parole. L’alternanza dei quattro monologhi, con i due più lunghi ad aprire e chiudere il cerchio, è perfetta perché capace di catalizzare l’attenzione su ogni minimo particolare senza risultare pesante o confusa. I testi tratti da “Preghiera per Černobyl'” presentano, infatti, secondo l’attrice, una forza drammaturgica interna che non ha bisogno di ulteriori adattamenti per risultare efficace.
La storia parla, qui, attraverso l’esperienza umana, considerandola proprio nucleo principale, e apre, in quanto ricordo del passato, a una responsabilità verso il futuro.
Accanto alla tragedia dell’uomo è la forza della vita che esplode naturale e necessaria. Quel filo d’erba, che nel settembre del ’45 spuntò incredibilmente sotto le macerie del disastro atomico, era un messaggio della natura che si affacciava per dire no alla morte; come una promessa di vita per i superstiti per ricordare il passato e dire sì al futuro.

Visto a Roma, Teatro Due, nell’ambito della rassegna “Una stanza tutta per lei”

Gertrude Cestiè 23/01/2016

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