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“Quel noioso giorno d’estate”: quando la cronaca si fa teatro

La noia. È lei la protagonista di un terribile fatto di cronaca, realmente accaduto e messo in scena il 13 e il 14 marzo al Teatro Marconi. “Quel noioso giorno d’estate” di Niccolò Matacovich, infatti, racconta in un atto unico la triste storia di tre ragazzi difficili: Mike (Riccardo Pieretti), Trevor, detto il Negro (Federico Antonello) e Frenk (Francesco Aricò). L’autore e regista, insieme alla Compagnia Habitas, dal 2015 si concentra soprattutto sulla drammaturgia contemporanea e inedita, nata dal confronto con realtà periferiche o marginali.
Roma diventa Dunkan, Oklahoma. Il palcoscenico si trasforma in un parco pubblico. La scenografia è buia. La illumina un lampione e la colorano le felpe che indossano i tre: una blu, una gialla e una rossa. Pantaloni larghi e linguaggio stretto, scurrile. Su una panchina – più di un semplice oggetto, quarto protagonista vero e proprio – trascorrono le giornate, buttati, seduti a guardare la vita che passa. E chi passa. Il loro sguardo è attento, sempre in movimento, in contrasto con la loro postazione fissa. Comunica tutta l’insofferenza e l’impazienza incontenibili. Un uomo che fa jogging, vittima inconsapevole, cattura la loro attenzione. Passa di lì ogni giorno. Lo osservano ogni giorno. Poi si stuzzicano ancora a vicenda, provocandosi, e ridono e litigano, tra goliardie e parole volgari.Habitas2
Vista, occhi e gesti scattosi si mischiano in un unico movimento frenetico che costringe il pubblico a una concentrazione costante. I ragazzi sono accomunati dal contesto sociale complicato, una vita disagiata e una famiglia pressoché inesistente. Il mondo dei giovani e quello degli adulti sembra essersi rovesciato: una mamma da controllare e a cui badare, depressa e dipendente dalle medicine, un padre ucciso da un ladro che è entrato in casa, una sorellastra assente. Una casa alla quale nessuno dei tre vuole fare ritorno. Mike, Trevor e Frenk parlano tra loro con spocchia, fingendo di essere grandi. Scoprono invece ogni fragilità e insicurezza ed è come se si rivolgessero direttamente al pubblico, sfogandosi in una disperata richiesta di aiuto.
Matacovich costruisce un teatro di confine, vero e duro, nel quale gli attori si calano alla perfezione. La drammaturgia è semplice e immediata, il ritmo incalzante. Il tempo sembra come cristallizzato eppure scorre ugualmente veloce. I ruoli dei personaggi, prima allegri e poi tristi, bulli spigliati e impacciati, sono ben cuciti sui tre giovani interpreti, freschi, sicuri e capaci di recitare le loro parti con grande naturalezza, rievocando bene la tragicità dell’evento.
Dal palcoscenico risuona un colpo di pistola. “Lo abbiamo fatto per gioco, per divertimento”. Le forme oscure della noia li fa passare così da una prigione a un’altra: Mike, Trevor e Frenk restano ingabbiati nella loro solitudine. Apatici, storditi, svuotati di ogni emozione. Desiderosi di una vita migliore ma incapaci di alzarsi da quella panchina e andarsela a prendere.

Silvia Lamia 16/03/2017

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