"Tutto esaurito" dice il cartello del botteghino dell’Auditorium Parco della Musica la sera di giovedì 7 aprile. Nell’aria c’è una frenesia inspiegabile, una sorta di moto ondoso adrenalinico. Le persone nel foyer si accalcano e mentre le osserviamo con sorpresa scopriamo che non ci sono solo i soliti anziani o adulti vicini all’anzianità (e chi frequenta i teatri regolarmente sa di che cosa parlo). Ci sono ragazzi e tanti, ci sono adulti nel fiore dell’età.
Che spettacolo sarà mai questo che smuove e accomuna tutte queste persone, tutte queste età così diverse?
Niente sipario, appena entrati in sala Silvia Gallerano appollaiata su un trespolo ci offre la visione del suo burroso corpo nudo mentre canticchia l’Inno di Mameli e si dondola come un triste uccellino in gabbia. E poi il flusso di coscienza e liquami ha inizio e ci travolge.
La donna ci racconta delle sue cosce corte, della difficoltà di essere una piccola, prende a modello suo padre idealista morto suicida sotto i binari di un treno, ci dice del rapporto conflittuale con la madre e con il mondo circostante. Attraverso le sue parole gradualmente sale a galla e si definisce tutta La Merda che contraddistingue la nostra società dei consumi in cui il consumatore diventa a sua volta prodotto da consumato dal potere di turno, dal mito dell’arrivismo e dalle luci della ribalta che si limitano a rendere spettacolare lo squallore della vita contemporanea.
La merda è la metafora del mondo in cui viviamo e l’atto del defecare diventa l’unico e ultimo atto salvifico per liberarci – letteralmente e metaforicamente – del male in ogni sua forma.
Siamo davanti a una nudità provocatoria e mai erotica che vuole mettere rendere manifesto il corpo umano in ogni sua forma e funzione, anche la più disturbante.
La voce tremante di Silvia Gallerano ci lambisce le orecchie in un tortuoso flusso di coscienza, poi impenna e diventa demoniaca come fosse posseduta nei momenti di maggiore pathos e disperazione, quasi volesse mandare via dal proprio corpo un demone che non le lascia respiro.
"La Merda", primo spunto di un Decalogo del Disgusto che lo scrittore Cristian Ceresoli si propone di comporre, è provocatoriamente dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Dopo Piero Manzoni che nel 1961 sigillò 90 barattoli di latta sui quali applicò un’etichetta con su scritto «Merda d'artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961» e che destò sorpresa e sgomento nel mondo dell’arte, c’è da chiedersi se oggi la merda d’artista ancora sconvolge.
Forse sì, a giudicare dalla sottile e persistente censura a cui lo spettacolo è sottoposto, soprattutto in Italia, nonostante la sfilza di premi internazionali ricevuti.
Imma Amitrano 11/04/2016