Illusione e incredulità si incontrano, sospese entrambe sulla platea che resta illuminata in una delle sale teatrali del MACRO - La Pelanda, invasa e intrisa da pulpiti di un'umanità in movimento e da suoni, luci, colori intermittenti per un deflagrante Short Theatre che invoca cambiamento, cooperazione e cultura al motto di "Keep The Village Alive". E così, ai fantasmi industriali degli storici padiglioni dell' ex Mattatoio di Testaccio, tra le suggestioni di antichi serbatoi senz’acqua, ciminiere spente, inquietanti attrezzi metallici per la pelatura di suini che gridano vendetta, si aggancia anche (sempre vivo e benché mai agonizzante) un grande classico di Harold Pinter.
Il celebre "Betrayal" - "Tradimenti" - è tradotto e interpretato in francese - "Trahisons" - dal collettivo fiammingo tg STAN (Stop Thinking About The Name), reduce da una tournée in tutta Europa che continua a mietere sold out.
Gli autori/interpreti (o, come sono stati definiti, gli "attori/decisori") della pièce - Robby Cleiren, Jolente De Keersmaeker e Frank Vercruyssen - restano sempre in scena e scrutano la recitazione degli altri anche quando non sono in azione, enfatizzando quella tensione che pone l'occhio del "voyeur" (come quello del pubblico) tagliato a metà tra retroscena e palco, in un limbo lucido e tangibile, di nuovo al confine tra finzione e realtà. Si riflette in questo spazio impercettibile il lavoro ventennale dei tg STAN: presenze essenziali poste al centro della scena, che intendono abolire il concetto di gerarchia per operare ogni scelta in totale democrazia, dalla selezione del testo, alle luci, alla direzione dello spettacolo.
La lettura in chiave contemporanea del testo di Pinter (1978) si presta bene a un gioco di svelamenti e terzi incomodi, sguardi celati, occhi chiusi o indiscreti tra le persiane di un appartamento in affitto - "Per scopare? No, per amarsi" -, chiuso tra pareti fatte di bottiglie di vino, piatti e bicchieri, un letto sgualcito, lampade e tanti libri.
Una stanza che diventa ristorante, poi albergo a Venezia e ancora tanti luoghi di un viaggio a ritroso nel tempo, ospitando quadri e flashback di una storia struggente e cinica, incastrata dalle bugie, ipocrisie e insicurezze di un tradizionale triangolo sentimentale tra Emma, il marito Robert e il suo migliore amico Jerry. Mentre i dialoghi inseguono le note di un giradischi, lei si veste e si riveste dei panni di ieri, sgargianti o sbiaditi nei ricordi appannati, come vecchi calici della memoria messi da parte in un angolo, a volte svuotati del tutto, altre volte soltanto un po', illuminati lievemente da un faro caldo che si raccoglie, lentamente, calando sul palco.
Tutti hanno tradito tutti. Ma scavando sotto la doppia morale, le mezze verità, la mediocrità e l'inafferrabilità dei sentimenti, il vero inganno sembra ancora quello del tempo, come la passione, divorante e inevitabile: quell' impietoso scarto temporale tra la percezione e l’oggettività, quel tradimento della memoria che cancella e rimuove.
"Eri bella vestita di bianco quel giorno" - "Ma non ero vestita di bianco" - dibattono i due amanti prima che anche i sovratitoli in italiano (per un errore tecnico?) ci abbandonino proprio sul finale, lasciandoci soli, traditi e mutilati, "cornuti e mazziati", ma dolcemente cullati nel prologo/epilogo di una rappresentazione che emoziona dolcemente e, consapevolmente, ci riporta in un presente di illusoria realtà.
Giulia Sanzone 12/9/2016
Foto: Paul De Malsche