In un appartamento di un isolato condominio di Roma, un anziano ex correttore di bozze combatte la sua personale crociata contro i refusi giornalistici e umani, arrivando a prendere in ostaggio con una pistola un paio di tecnici venuti per aggiustare il citofono e la signora delle pulizie di origini ucraine. Una commedia brillante che indaga sugli errori che commettiamo nella vita, sui refusi delle nostre esistenze, con una liberatoria ironia capace di far ridere e di far riflettere.
Sulla carta, “Re-fusi” di Roberta Skerl per la regia di Vanessa Gasbarri, in scena al Teatro Manzoni fino al 15 maggio, è proprio questo: una classica e brillante commedia sui tempi moderni, capace di mescolare il dolce e l’amaro secondo la più classica delle tradizioni. “Classico” è l’aggettivo che più viene in mente durante la rappresentazione, con tutti i suoi crismi, quelli positivi e, ahimè, quelli negativi.
Perché se è vero che la storia presentata è intelligente e offre più di uno spunto di riflessione, se è innegabile la bravura degli interpreti (Saverio Marconi, Fabio Avaro, Enzo Casertano e Maria Lauria) e la bellezza della scenografia e delle luci di Katia Titolo e Giuseppe Filipponio è fuori discussione, è anche vero che classico, alle volte, è sinonimo di stantio.
È stantia, per esempio, la battuta costruita esclusivamente sull’ostentazione dialettale dei protagonisti, che toglie mordente sia alla trama che alle riflessioni su di essa, come è strano questo finale, così frettoloso e con pochi spazi di manovra.
Il pubblico in sala, comunque, ha gradito: tra applausi a scena aperta e ovazioni a sipario calato, la commedia può a pieno diritto considerarsi riuscita, e non si può negare di immaginare un futuro per il testo, magari un adattamento cinematografico in tempi nemmeno tanto lunghi.
La riflessione di partenza dello spettacolo e affascinante e intelligente: i refusi, gli errori, gli sbagli che ognuno di noi si porta dentro, grandi e piccoli, sono inevitabili. È il mondo a essere sbagliato e ciò che Rodolfo Marra (il bravo Saverio Marconi) si domanda con folle ostinazione è il motivo per cui nessuno sente mai la necessità di fermarsi e chiedersi il perché di tanto male. Le nostre esistenze cominciano a imbrogliarsi fin dal principio, per colpa del caso, del destino, di Dio. La maggior parte delle volte non è colpa nostra, siamo solo vittime di un mondo che non funziona. La soluzione che offre lo spettacolo è la libertà di sfogarsi, di trovare un conforto alle nostre sventure con chi è vittima come e più di noi. Solidarietà, dunque, forse amicizia. Un esito pieno di speranza, ma in questa nobile crociata per capire il perché degli errori della vita, la condiscendenza con cui si chiude lo spettacolo non appare come una vittoria, ma più come un arrendersi passivamente alle storture dell’esistenza, riservandosi il diritto di lamentarsi con gli amici per trovare conforto. Ci tornano alla mente le parole de “Le Correzioni” di Jonathan Franzen (guarda caso): “L’ignoranza volontaria è un importante mezzo di sopravvivenza, forse il più importante di tutti”. Se è impossibile correggere, non serve sforzarsi di comprendere il perché. Ma non esiste davvero modo di correggere i nostri quotidiani e personali errori se non ricorrendo a isterismi e pistole?
Giuseppe Cassarà 23/04/2016