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Una mostra in cui niente è come sembra: la prima personale europea di Leandro Erlich

Dal 22 aprile fino al prossimo 4 ottobre, il Palazzo Reale di Milano ospiterà la prima europea di un artista che ha sfidato l’irrazionale: Leandro Erlich.
La mostra, promossa dal Comune di Milano-Cultura, è prodotta e organizzata da  Palazzo Reale  e  Arthemisia, in collaborazione con lo  Studio Erlich e con la curatela di  Francesco Stocchi.
Nato a Buenos Aires nel 1973, Erlich è un artista che ha sempre giocato su quel realismo magico tipico dell’America Latina, riuscendo ad abbattere i confini tra il reale e l’immaginifico, rendendo vero l’impossibile.
Il genio argentino è però prima di tutto una persona curiosa, o ancor meglio, come lui stesso si definisce, è: “un autore che come soggetto ha la realtà, i simboli e il loro potenziale significato”.
Nelle sue opere ci sono palazzi in cui è possibile arrampicarsi virtualmente, piscine che vanno “attraversate”, ascensori che non portano da nessuna parte, questi e molti altri ancora sono i suoi ambienti artificiali creati sempre site specific.
Ma cosa ci dobbiamo aspettare dalla sua prossima mostra a Milano?
Nell’attesa di saperne di più, secondo lo stesso Erlich, questa personale milanese consisterebbe nell’esposizione più completa dei suoi lavori, comprendendo sia i progetti degli ultimi anni sia quelli più conosciuti e datati.
Con milioni di visitatori nel mondo alle spalle, la sua arte sa essere universale e al Palazzo Reale, si creerà ancora una volta, quello che Borges chiamava “l’Aleph", ossia: “un punto dello spazio che contiene ogni punto al suo interno”.
Infatti, per la prima volta in assoluto, lo spettatore avrà la possibilità di vedere, di giocare e di perdersi fra le sue opere più iconiche, riunite in una sola sede.
Con l’intento di colmare le distanze che spesso ci sono fra chi guarda e chi crea, Erlich ci permetterà ancora una volta di farci pensare “diversi” da chi siamo di solito e sceglie Milano, l’Italia, per farlo.
Il catalogo è edito da Toluca Studio.

Ilaria Ferretti  17/04/2023

Dal 1 maggio al 30 giugno al via il progetto "La natura delle cose", una mostra artistica che ci fa (ri)scoprire il nostro posto nel mondo

Dal 1 maggio al 30 giungo 2023, presso il Museolaboratorio – Ex manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo (PE), sarà possibile prendere parte al progetto La natura delle cose dell’artista Giuseppe Stampone, vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea.
Il titolo del progetto, La natura delle cose, fa riferimento al poema filosofico di Lucrezio, scritto nel 50 A.C., dove vengono trattati temi come la costituzione molecolare dell’universo, l’anima e il suo destino, le caratteristiche individuali dell’essere umano e la paura della morte. Lo scopo dell’opera è, principalmente, quello di indagare il posto che l’uomo occupa nel mondo naturale, molecolare e astrologico.
Stampone si è basato proprio su quest’opera per stimolare una riflessione sul paesaggio e sul ruolo dell’essere umano sul pianeta; la meditazione deve avvenire attraverso l’osservazione di una sessantina di opere che includono fotografie, disegni e un’installazione video.
I luoghi che hanno stimolato l’artista sono situati nel Gran Sasso e nella Maiella, posti a lui molto cari. Le montagne abruzzesi, infatti, gli hanno permesso di riscoprire i luoghi della propria infanzia, mentre, per noi osservatori, tale opera diventa un mezzo che permette di sviluppare una riflessione sul nostro posto nel mondo attraverso l’arte, l’etica e sul senso di responsabilità verso l’ambiente che ci ospita. Lo scopo, infatti, è quello di far in modo che le future generazioni possano mostrarsi sempre più sensibili nei confronti di un pianeta sempre di più danneggiato.
Lo stile artistico utilizzato per questa mostra si distacca dai precedenti lavori di Stampone, che generalmente ha prelevato immagini prese da Internet, mentre in questo caso ha scattato personalmente le fotografie e, in seguito, ha realizzato i disegni a grafite.
Giuseppe Stampone è un’artista nato in Francia, ma vive e lavora tra Teramo, Bruxelles e Roma. Insegna presso l’Accademia delle Belle Arti di Bologna e collabora con altre università e accademie come la Federico II di Napoli, la IULM di Milano e con il McLuhan Program in Culture and Technology di Toronto. È inoltre un membro associato dell’American Academy di Roma e della Civitella Ranieri Foundation di New York.
Nel 2008 insieme a Maria Crispal, artista e sua compagna di vita, ha fondato il Solstizio Project, un progetto artistico, finanziato dall’Unione Europea, che affronta importanti temi contemporanei come, per esempio, l’ambiente, le economie sostenibili e i conflitti sociali.

Arianna Dell'Orso  14/04/2023

Una profonda conversazione con Chiara Lagani, da traduttrice per Einaudi a drammaturga – attrice: “Sylvie e Bruno” della compagnia Fanny & Alexander

Trascorse le rappresentazioni romane dello spettacolo di Chiara Lagani (drammaturga della compagnia Fanny & Alexander), traduttrice per Einaudi del terzo romanzo di Lewis Carrol “Sylvie e Bruno” andato in scena dal 22 al 26 Marzo al Teatro India di Roma. Dopo la visione dello spettacolo non potevamo perdere l’occasione di intervistare la drammaturga – attrice dell’opera in questione, per chiarire e far comprendere al meglio ai post e futuri spettatori l’intento drammaturgico di Chiara Lagani e le operazioni registiche effettuate da Luigi De Angelis regista della compagnia. Quest’ultimo sarà il regista del “Barbiere di Siviglia” che andrà in scena il 31 Marzo che si terrà al Teatro Sociale di Rovigo. Fino al 6 aprile ritroviamo al Teatro Piccolo di Milano la traduzione della Lagani di Romeo e Giulietta di William Shakespeare con la prima regia di Mario Martone. Affondiamoci nelle parole di Chiara Lagani.

Immaginatevi di essere terribilmente stanchi e che il sonno stia per sorprendervi e trascinarvi al fondo di un sogno. Il punto di partenza di questo spettacolo è proprio quello stato parzialmente vigile e al contempo di semi-abbandono in cui il corpo si fa improvvisamente pesante, la mente si solleva e quasi possiamo vederci dall’alto, salvo repentini sussulti delle membra che, se non ci svegliano, segnalano proprio un profondo inevitabile trapasso ad un mondo “notturno”, fatto di immagini e suoni volatili eppur consistenti. Siamo allora nel mondo dei sogni, un mondo dotato di sue regole parallele che in qualche modo riorganizzano e trasformano le immagini diurne con quelle del nostro inconscio”. 

 Qual è stato il lavoro che hai compiuto dapprima, traducendo il testo in Italiano “Sylvie e Bruno” di Lewis Carrool scritto nel 1889?

 “Questo è un libro amatissimo da me ma anche da Luigi de Angelis regista della compagnia “Fanny & Alexsander. Da quando siamo ragazzini in qualche modo volevamo affrontarlo, prima volevamo fare un film, poi ci siamo resi conto che eravamo solo degli adolescenti e della complessità di questo romanzo e quindi ci siamo detti, forse bisogna aspettare un po'. Perché ci sono delle opere che hanno bisogno di tempo e di più maturità. Questo romanzo che io amo tanto poi mi è ritornato indietro in concomitanza del primo lookdown (quello più duro), epoca in cui mi trovavo a fare una proposta di una traduzione Einaudi e ho pensato di nuovo a questo libro che nel frattempo era già stato tradotto in Italia la prima volta da Cordelli, e poi era uscito fuori catalogo e mi sembrava un peccato che non fosse più in circolazione, e così sono stata io a proporre la traduzione ad Einaudi e la richiesta mi è stata accolta. Ho passato fortunatamente tutta quella orribile chiusura a tradurre le parole di Carrool, e devo dire che mi hanno salvata, sollevata in quel triste periodo. Perché per me è stato come immergermi in uno strano luogo, tra sogno e realtà che è stato come un antidoto contro la depressione per tutto quel periodo in cui siamo dovuti rimanere chiusi in casa. Dopo aver pubblicato il libro con Einaudi e avendo la mia traduzione a disposizione con Luigi de Angelis ci siamo detti, ecco è arrivato il momento di metterlo in scena, perché in noi quella storia era ormai sedimentata da anni, c’era ormai un grande amore. 

La prima volta che è andato in scena lo spettacolo in Italia?

 “La prima romana è stata il 22 di Marzo, mentre la prima volta che lo spettacolo è andato in scena in Italia immediatamente dopo la fine delle chiusure orribili del Covid. Lo spettacolo dunque è in tournée da quasi due anni. Ha debuttato la prima volta a Ravenna perché era una produzione del “Ravenna festival” successivamente è andato in scena in diverse città italiane. La cosa più bella per me è che il testo dello spettacolo è nato in parallelo alla traduzione, come se già i corpi degli attori fossero già presenti nel lavoro sul testo. Mentre traducevo pensavo continuamente alla messa in scena, sono due operazioni fuse in una”. 

 Nel 1992 fondi a Ravenna insieme a Luigi De Angelis la compagnia “Fanny & Alexssander” che verte nello studio tra un teatro di ricerca e un teatro sperimentale. Dal momento che hai dichiarato prima che la traduzione è stata fatta in funzione dello spettacolo. Ci sono state delle riscritture in funzione della messa in scena della tua stessa traduzione? Perché gli attori sembrano molto plasmati e inducono ad intermittenza astrazione brechtiana ma anche un altro tipo di empatia e allora ci chiediamo se era questo il tuo intento?

“Si esattamente, perché ovviamente ogni traduzione è stata composta per la scena, sono tutte traduzioni dall’inglese all’italiano effettuate da Einaudi e traduzioni fatte appositamente per lo spettacolo che implica un sovvertimento del testo di origine, per cercare come dico sempre di essere fedele al testo originale. Nel testo di Carrol c’è un narratore, una persona molto anziana che si addormenta sempre e che scivola continuamente tra il suo sogno e la realtà. Quindi sono due storie intrecciate quelle che vengono raccontate, però non intrecciate in una maniera morbida ma anzi in una maniera schizofrenica, proprio quando ci si sveglia da un sogno e dobbiamo prendere i contatti con la realtà e non capiamo ancora se è un sogno o la realtà. Noi non abbiamo un attore anziano in scena, e come se io avessi parcellizzato tutto questo racconto in terza persona, che è una parte narrativa del racconto, facendone come un personaggio diviso in 5. E da qui questo elemento straniante brechtiano in cui l’attore sembra a volte uscire dal personaggio per diventare narratore e raccontare l’avvenimento ed è una caratteristica che è suggerita dallo stesso testo di Carrol che fa si che questo narratore,  sia il protagonista perché è l’amico delle due fate bambine e fortemente amico nella storia borghese dei due innamorati Arthur e Muriel, diventa protagonista a suo malgrado di queste storie allo stesso momento è colui che c’è lo sta raccontando ai nostri lettori e continuamente si rivolge a noi lettori in maniera diretta. Infatti gli attori appellano a volte lo spettatore. All’inizio dicono a te spettatore devo dirti una cosa, hai mai visto le fate? O vuoi che ti insegno a vederle? Questo deriva proprio dal libro. Un Personaggio che racconta una storia ma allo stesso tempo quando la racconta ne sei comunque protagonista, perché se la narri sei comunque un personaggio di quella storia. Questo aspetto per me era fondamentale da mettere in risalto nello spettacolo, ma io ho deciso di operare verso questa strada”. 

 “La scelta drammaturgica di inserire il Meta-Teatro riportata soprattutto dalle voci fuori campo registrate degli attori quando interpretano i bambini, da cosa deriva questa scelta registica di inserire voci fuori campo?

 “La scelta è dovuta alla presenza di questo narratore che viene diviso in 5 personaggi diversi. Il teatro è sempre menzionato nel romanzo di Carrol, quindi c’è la presenza del meta teatro. Ad esempio una delle due fate è ossessionata dal teatro e dalle rappresentazioni e mette in scena continuamente piccoli frammenti teatrali. Quindi il teatro è molto evocato, lo stesso Carrol pare che il suo romanzo lo componesse oralmente, lui buttava giù una traccia e poi si procurava un pubblico di bambini, anche per questo romanzo, si rivolge agli adulti per rievocare il loro essere bambini. E pare che lui mettesse in scena queste rappresentazioni facendo tutte le voci, quindi c’era questo narratore onnipresente che interpretava ogni personaggio e questo rimane nelle pagine consistenti e rimane impigliato in questa metodologia. Penso che era importante mettere in scena il fatto che uno attore è il suo essere attore e guardare il suo essere attore, questa è la chiave a cui io e Luigi tenevamo tantissimo. E un sogno continuo in cui si ci sveglia dormendo”.

Si nota tantissimo l’incipit del teatro elisabettiano del fatto che gli attori ad un certo punto diventano spettatori della rappresentazione. La scelta di inserire all’inizio della prima scena quando entrano i corpi degli attori utilizzando quelle luci che sono soavemente rendono i corpi fantasmici. Questi attori che rievocano siamo o non siamo in un sogno?

“Hai descritto il prologo meglio di come avrei potuto farlo io. Luigi ha sempre voluto sottolineare come questi corpi siano eterotopici e utopici al tempo stesso un luogo e non luogo allo stesso tempo. Questi corpi nella nostra rappresentazione dovevano essere immateriali, per questo motivo l’utilizzo all’inizio di quelle luci che rendevano invisibile il corpo ma visibile solo minimamente. Questi corpi stanno a significare che sono qui ma allo stesso tempo non lo sono e che hanno un rapporto con l’invisibile. Questo è il timbro dello spettacolo poiché si allude sempre a qualcosa che non esiste sula scena, oggetti che devono essere solo immaginati ma anche i racconti stessi non li vediamo in scena rimangono fuori campo ma in campo dalla narrazione dei personaggi. Lo spettatore è portato ad un gioco ludico di immaginare ciò che non c’è e di non immaginare invece ciò che viene raccontato con le parole, questo può creare confusione ma è questo l’intento. Lasciare confusione di un sogno non ricordato bene. Essere capaci di vedere l’invisibile e di custodirlo dentro di se”. 

 “Nel corso della tua carriera hai lavorato con degli artisti di un certo calibro quali: Stefano Bartezaghi, Goffredo Fofi, Luca Scarlini, vuoi raccontare qualcosa su queste collaborazioni?”. 

 “Sono tutti dei grandi intellettuali con la quale ho sempre cercato di creare un rapporto per sviscerare vari lavori su vari romanzi. Abbiamo lavorato insieme per il ciclo di Adina Bocok, abbiamo lavorato sia con la traduttrice la bravissima Margherita Crepax e anche con Stefano Bartezaghi riguardo a tutta la tessitura linguistica dei giochi di parole, che è fondamentale per capire un autore, ci si rivolge sempre in dei specialisti del settore quando si deve effettuare una nuova traduzione o un nuovo lavoro. Sono come delle muse ispiratrici per ritrovare il proprio punto di vista per l’interpretazione. Soprattutto quando poi una opera si mette in scena e si crea, questo significa interrogarla da vicino e dal vivo, creando un rapporto intimo e ravvicinato. Sono delle operazioni così delicate che a volte farle da sole è impossibile, per cui ci si crea delle alleanze”. 

 “Ritornando allo spettacolo, essendo che tu oltre ad essere anche la drammaturga, se anche attrice nello spettacolo, come hai dovuto lavorare per effettuare due menzioni molto complesse contemporaneamente?”

 “Questa è una complicazione che mi sono scelta, poiché io di base sono una drammaturga, ma ho sempre pensato come faccio a scrivere se non so cosa significa interpretare? Per cui mi sono sempre dedicata anche alla recitazione. Come fai a scrivere un testo per il teatro se non ci passi con il tuo corpo? Come fai a consigliare ad un attore ad incarnare la parola o un personaggio se non hai vissuto quella esperienza unica e alchemica? Il mio stare in scena per me è interrogare continuamente il mio essere drammaturga. Poi ho la fortuna di avere come compagno di lavoro Luigi De Angelis regista della compagnia invece io sono la direttrice artistica, insieme abbiamo costruito un rapporto di 30 anni, è un fratello per me. Io mi fido tantissimo di lui quando lavoriamo i suoi occhi sono i miei. Avere una persona di cui ci si fida è pura fortuna perché lui vede dove io non posso vedere mentre recito in scena”. 

 La forza di questo spettacolo è dunque che i personaggi non rappresentano questo nel senso convenzionale del termine, ma rappresentano dei proto-personaggi del sogno di un pensiero. Insieme a te sul palco vediamo recitare Marco Cavalcoli, Andrea Argenteri, Roberto Magnani, Elisa Poll. Come hai lavorato con gli attori e come vi siete gestitici con le voci registrate?

 “Per me questi attori sono fantastici, Cavalcoli e Argenteri sono storici nella compagnia e avevano già lavorato insieme a me e a Luigi. Roberto viene dal Teatro delle Alpe ed Elisa Poll da un’altra compagnia con sede a Ravenna. Noi ci conosciamo da quando siamo piccoli e proviamo l’uno per l’altro un amore sconfinato. Dopo il lookdown c’era il desiderio di rimettersi in teatro con delle persone e rivivere. Così ci siamo messi sotto per mettere in scena il tutto. Nello spettacolo si sente che c’è condivisione gioiosa di quella paura che ormai è svanita. Si ritorna a teatro. 

Per rispondere alla parte più tecnica della domanda Luigi è un musicista per cui le sue regie le crea come delle partiture musicali, con pause, silenzi, allegri o adagio con utilizzo di arcate musicale retoriche. La sua regia è come suonare una partitura, hai colto molto bene questa corrispondenza del doppiaggio, e di presenza di inarcature ritmiche in cui ogni attore consegna la sua battuta all’altro come fanno i musicisti in una orchestra”. 

Progetti futuri?

“il mio cuore è diviso tra le rappresentazioni a Roma al Teatro India e un Barbiere di Siviglia che è andato  in scena il 31 marzo a Rovigo e poi sarà a Ravenna al Teatro musicale poiché è parte integrante della compagnia. Ora vengo dalla traduzione per Mario Martone del Romeo e Giulietta che ha appena debuttato al Piccolo di Milano che è ancora in replica in questi giorni fino al 16 aprile. Luigi ha molti progetti musicali, abbiamo 3 piccoli pezzi uno dedicato a Nina Simone, uno dedicato al tema della maternità”

Dunque più cose che bollono in pentola e che presto verranno cucinate e servite a puntino, in un piatto unico e magico con il gusto a sapore di teatro. 

Carmela De Rose 03/04/2023

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